La rivista "Le Conferenze di Ozanam" ospita, ormai da alcuni mesi, una interessante rubrica curata dal Confratello Maurizio Ceste dal titolo "Conoscere Ozanam", che offre approfondimenti, ma soprattutto uno sguardo nuovo su alcuni aspetti poco conosciuti della vita e delle opere del Beato Federico Ozanam. Sul numero 4/2023 della nostra rivista troverete l'articolo integrale, che è stato pubblicato anche da L'Osservatore Romano a pagina intera sull'edizione di venerdì 8 settembre 2023:
“Credo non ci sia santuario, neppure a Roma, dove abbia provato impressioni più soavi di quelle sperimentate ascoltando la messa presso la tomba di San Francesco”.
(F. Ozanam)
Nel gennaio 2020, in una breve presentazione di Federico Ozanam redatta dalla Federazione internazionale della Società di San Vincenzo De Paoli, cinque righe in tutto, si leggeva che Ozanam fosse terziario francescano. La cosa stupiva davvero perché sottolineava, in così poche righe di biografia, un fatto importante e assolutamente inedito, ma soprattutto perché destava parecchie perplessità. In sede di Commissione storica della Federazione internazionale, di cui faccio parte, ho subito iniziato una ricerca, sia documentale che contattando Magdeleine Houssay, discendente diretta di Ozanam e custode degli archivi di famiglia, che padre Guerra, postulatore della sua causa di beatificazione e di canonizzazione. Entrambi hanno confermato questi forti dubbi.
Questa errata interpretazione nasce probabilmente da un brano della lettera dell’11 luglio 1853 a Padre Venanzio da Celano, padre generale dei frati minori dell’ordine francescano, in cui Ozanam scrive: “Ho ricevuto con rispetto e riconoscenza il diploma con il quale avete avuto la bontà di farmi partecipare ai meriti degli ordini francescani riuniti sotto la vostra autorità. Io non ho nulla che mi renda degno di tale riguardo, se non la mia affettuosa venerazione per san Francesco”.
L’attribuzione di questo diploma, potrebbe aver fatto pensare che Ozanam fosse entrato nell’ordine terziario, tuttavia, come sopra esposto, non ne esistono tracce. Si può quindi dedurre che Ozanam, come lui stesso scrive, fosse stato in qualche modo associato “ai meriti francescani”, senza tuttavia entrare nel terz’ordine. Pietro Fanfani, noto critico letterario e filologo, traduttore, tra l’altro, della sua opera sui poeti francescani, ebbe anche lui, da padre Venazio da Celano tale diploma e così ne scrive: “Ebbi da lui, com’essi dicono, la Fratellanza dell’Ordine, con tanto di diploma…”.
Comunque sia, questo episodio attesta come l’interesse e l’ammirazione per san Francesco fosse grandissima; sia come uomo di spiritualità e carità che come letterato. Scrive infatti Ozanam, nel novembre del 1836, all’amico Janmot, appena tornato da un viaggio in Umbria:
“… Ma, al di sopra di tutto, deve librarsi la grande memoria di san Francesco… È sul monte della Verna che le gloriose stimmate si impressero sulle sue mani e i suoi piedi. È in quelle strade per le quali siete passato che egli invitava gli uccellini del cielo a cantare le glorie del Signore. Ma è Assisi soprattutto che deve essere piena di lui; Assisi e il suo convento che ospitava un tempo seimila frati, e le sue due chiese, simboli delle due vite del santo, l’una terrena e l’altra, l’altra immortale e splendente; le sue due chiese dove la buona e pia pittura del medioevo si è sviluppata dalla sua culla sino alla maturità, da Cimabue e Giotto fino ai tempi del Perugino…”
Nei suoi quattro viaggi in Italia, solo nel terzo, dal novembre 1846 al maggio dell’anno successivo, quando ebbe, da parte del Ministro dell’Istruzione Pubblica francese l’incarico di ricercare, in Italia, documenti sulla letteratura medievale, visita Assisi. La città lo emoziona profondamente, non solo dal punto di vista spirituale, ma anche artistico e letterario, perchè proprio qui alla lingua italiana, allora ruvida e incolta, “bastò l’aura della cattolica devozione” a farla germogliare e fiorire. Ed è proprio dopo aver visitato i luoghi legati al Santo, che nasce il lui l’idea di scrivere un libro su san Francesco ed i poeti francescani.
Scrive ai fratelli Alphonse e Charles ad inizio aprile 1847:
“E dopo Firenze siamo giunti ad Assisi. Credo non ci sia santuario, neppure a Roma, dove abbia provato impressioni più soavi di quelle sperimentate ascoltando la messa presso la tomba di san Francesco, passando per quelle tre chiese che la coprono, e nelle quali il genio del XIII secolo ha esaurito tutto quel che si poteva concepire di bello e di commuovente. Abbiamo visto anche tutti i luoghi consacrati alla memoria di san Francesco e di santa Chiara, la casa dove il santo nacque, il luogo della sua conversione, quello dove fu rinchiuso da suo padre, il giardino di spine dove si tuffò e dove da seicento anni fioriscono delle belle rose bianche, il luogo dove morì, la Porziuncola, la chiesa di San Damiano… Provavamo, Amélie ed io, una consolazione infinita, nel ricordarci, sui luoghi stessi, tutto quello che avevamo letto nell’incantevole libro dei Fioretti, nell’ammirare le pitture degli antichi maestri dense di fede e di purezza, nel pregare, per noi e per i nostri cari…”.
E ancora in una lettera a Lallier del 20 maggio 1847:
“Ma tra i tanti santuari nessuno ci tocca come quello di Assisi, dove la memoria di san Francesco e di santa Chiara è devotamente e teneramente conservata. Vorrei potervi dipingere questa antica ed affascinante città di Assisi, posta su una collina sopra una delle più ridenti vallate dell’Umbria… e che ha conservato tutta la fisionomia del XIII secolo. Vorrei condurvi poi alla semplice e nuda chiesa gotica, ma di uno stile assolutamente puro, dove riposa il corpo di santa Chiara. All’altra estremità della città si eleva il Sagro convento, edificio incomparabile che conserva il sepolcro di san Francesco. Figuratevi, una chiesa su tre piani. L’inferiore, che è sotterraneo, conserva il copro del santo. Quello mediano, allo stesso livello del suolo, è già più grande, ma ancora basso ed oscuro, i cui dipinti del quale è ricoperto, esprimono piuttosto i misteri dolorosi del Cristo e la vita mortificata di san Francesco. Il terzo, per il quale si sale da una scala, ma che ha una porta a livello della cima della collina, è una costruzione slanciata come le nostre più belle chiese gotiche, arricchita da grandi finestre ogivali, tutte colme di luce e di affreschi superbi, dove tutto respira di gloria e di immortalità. I più antichi e devoti maestri della pittura italiana hanno profuso il loro genio su queste pareti…”.
Certamente una delle opere letterarie più famose di Ozanam, il cui successo fu forse superiore al volume su Dante (Dante e la filosofia cattolica nel XIII secolo) è quella sui poeti francescani in Italia, che contiene tra l’altro la traduzione dei Fioretti di san Francesco. Pubblicata in quattro puntate su Le Correspondant, con il titolo “I poeti francescani in Italia nel XIII e XIV secolo”, tra il novembre 1847 e l’aprile 1851, venne poi pubblicata integralmente nel 1852 con il titolo: “I Poeti francescani in Italia nel tredicesimo secolo, con una scelta dei fioretti di san Francesco tradotti dall’italiano”.
L’opera è un vero e proprio elogio di san Francesco, figura analizzata già nei suoi studi, inizialmente solo come poeta, ora completata come modello di carità. Pur con alcune carenze dal punto di vista filologico, con alcune dubbie attribuzioni e un non sempre preciso controllo delle fonti, l’opera appare ancor oggi originale sotto il profilo storico, grazie al ritrovamento di nuovi testi, particolari inediti ed inattese intuizioni che sono state successivamente confermate dalla critica. Va tenuto infine conto che spesso le sue considerazioni etiche superavano quelle estetiche, che pure erano state il suo punto di partenza.
Scrive nei Poeti francescani:
“Nel momento in cui il penitente di Assisi, nella contemplazione della croce, imparava ad amare Dio, incominciava ad amare anche l’umanità, l’umanità crocifissa, spogliata, sofferente: ecco perché si sentiva spinto verso i lebbrosi, i miserabili, verso tutti quelli che il mondo respinge. Da allora non ebbe più pace fin quando, alla presenza del suo vescovo, si spogliò in pubblico degli abiti della sua condizione sociale per indossare un mantello da mendicante… Facendosi povero, fondando un nuovo Ordine di poveri come lui, Francesco rendeva onore alla povertà, la più disprezzata e la più diffusa delle condizioni umane. Dimostrava che vi si poteva trovare la pace, la dignità, la felicità. Così facendo calmava i risentimenti delle classi indigenti, le riconciliava con i ricchi e questi imparavano a non invidiarli più. Poneva fine alla vecchia guerra tra chi non possiede nulla e chi possiede fin troppo, e rafforzava i legami ormai allentati della società cristiana”.
E ancora:
“La basilica di Assisi è divenuta la culla di una rinascita spirituale e artistica. E Giotto, ovunque… Non conosco affresco più toccante che quello dove è raffigurato il fidanzamento del servitore di Dio con la santa Povertà, la Povertà con i tratti di una donna perfettamente bella, ma con il viso smagrito, le vesti lacere, un cane le abbaia contro, due ragazzi le gettano pietre e mettono dei rovi sul suo cammino. Ella tuttavia, calma e gioiosa, tende la mano a Francesco e lo stesso Cristo unisce i due sposi…”.
La raffigurazione della povertà con una figura femminile, tipica dell’arte medievale, di rappresentare l’idea con una immagine, anche cara al movimento romantico, colpisce Ozanam: la povertà è infatti causa di violenze nella società, canzonata da certi “benpensanti” e irta di ostacoli, ieri come nell’epoca in cui vive, ed è in questa mano di Francesco verso il Cristo, che vede se stesso, la sua scelta del povero verso una società migliore.
Infine, Ozanam elegge il santo di Assisi a paladino del rispetto della natura e vi vede, come oggi papa Francesco nella Laudato si’, l’uomo che ha saputo legare “i misteri della natura a quelli della fede”.
Scrive ancora Ozanam:
“Anche il cristianesimo, tanto spesso accusato di calpestare la natura, è il solo che ha insegnato all’uomo a rispettarla, ad amarla profondamente, mostrando il piano divino che la sostiene, la illumina e la santifica. Francesco considerava la creazione sotto questa luce; percorreva tutti i sentieri alla ricerca delle orme del suo Dio… Là dove altri occhi non percepivano che bellezze caduche, scopriva, quasi con un altro modo di vedere, i rapporti eterni che legano l’ordine fisico a quello morale, i misteri della natura a quelli della fede. San Francesco, con la sua innocenza e la sua semplicità, era ritornato, per così dire, alla condizione di Adamo, quando questo nostro primo padre vedeva tutte le creature sotto una luce divina e le amava con carità fraterna”.
Ma ecco un colpo di scena: scrive a Théophile Foisset nell’aprile 1852, confidandogli un piccolo segreto: in realtà la traduzione dei Fioretti non è tutta sua…
“Vorrei confidarvi la storia un po’ romanzesca di questo libretto. La prima volta che accompagnai mia moglie in Italia, ci capitarono in mano I Fioretti di san Francesco. Ne fummo conquistati e per far esercitare Amélie nella lingua italiana, le feci tradurre diverse di queste leggende. Trovai nella sua traduzione tanta delicatezza e spontaneità e mi ripromisi di farle tradurre in francese tutto il libro che avrei poi pubblicato con una breve introduzione… È successo così che la prefazione è divenuta il libro e che vi si è aggiunta soltanto un’antologia dei Fioretti, selezionandone i più graziosi. Ecco qui l’atto di nascita di questo piccolo volume che non è né un libro di scienza, né un libro di devozione, ma che vorrebbe essere un libro di letteratura cristiana. Per Amélie e per me, è molto di più, poiché ne abbiamo fatto un lavoro comune, raccogliendovi i ricordi più graditi dei nostri viaggi. Ma questo è un segreto fra noi amici, e quand’anche possiate vedere dal titolo e da una frase della prefazione che non ho mentito, vi prego di fare in modo che il pubblico non ne venga troppo a sapere”.
Durante l’ultimo soggiorno in Italia, malgrado l’aggravarsi della malattia, Ozanam dedica un’attenzione costante a far conoscere la su opera su san Francesco; lo testimoniano le numerose richieste di recensioni sia a librai e tipografi sia a bibliotecari e colleghi docenti universitari. Scrive a Pietro Fanfani il 15 febbraio 1853:
“Siete molto indulgente per quel che riguarda i miei Poeti francescani. Se non vi disturba troppo, mi fareste un gran servigio facendolo conoscere in Italia…”
E si indirizza ancora all’amico Jean-Jacques Ampère, ora redattore della Revue des deux mondes, il 15 aprile 1853, utilizzando tutta la sua arte affabulatoria, come sempre venata da una certa ironia:
“…. Visti i servizi che avete reso a M. Buloz, direttore del periodico, ornando la sua rivista con i vostri begli articoli, non posso credere ch’egli possa rifiutare una pagina, anche alla fine del numero, per un piccolo commento ai Poeti francescani. Ma avrete il tempo di occuparvi di queste faccende? Perché voi ben sapete quanto devono a san Francesco i vostri due amici, Dante e Giotto. Se dunque una sera la preparazione dei vostri corsi e la sollecitudine del bel mondo vi lasciassero qualche momento, permettete che i miei poveri Poeti, si raccomandino a voi”.
Il volume sui Poeti francescani, ma soprattutto la traduzione francese dei Fioretti (Les petites fleurs) ebbe un notevole successo, contando numerosissime edizioni, alcune finemente illustrate. Perfino il pittore-illustratore Umberto Brunelleschi, celebre per le sue tavole galanti e licenziose, ne è conquistato e ne illustra, in Francia, un’edizione di lusso negli anni Quaranta del secolo scorso.