L'Osservatore Romano ha pubblicato un ampio articolo di Maurizio Ceste intitolato: "Una visione cristiana dei tre capisaldi rivoluzionari. La breve avventura politica del beato Federico Ozanam". Ne riportiamo un estratto:
Il beato Federico Ozanam è principalmente conosciuto come ideatore e fondatore, ancora studente, delle Conferenze di San Vincenzo De Paoli nel 1833 e successivamente, per le sue visioni sociali innovative e per il suo impegno come esponente ante litteram del cattolicesimo sociale, come anticipatore della dottrina sociale della Chiesa. Del tutto sconosciuta è invece la sua breve avventura politica attiva che lo vide, nella Francia post-rivoluzionaria del 1848, candidato all’Assemblea nazionale costituente.
A Parigi, dopo le sanguinose sommosse del febbraio 1848 e la conseguente abdicazione di Luigi Filippo, il governo provvisorio indice, il 23 aprile, le elezioni per un’Assemblea costituente. Ozanam si presenta come candidato nel partito repubblicano (gli altri grandi raggruppamenti erano il partito legittimista monarchico ed i socialisti), superando molti dubbi ed incertezze: «Mi sono deciso ad un sacrificio che non potevo rifiutare senza venir meno al mio onore, al patriottismo e al mio impegno cristiano». Sono stati i suoi vecchi amici lionesi, con un’accorata lettera, a sollecitare la sua candidatura: «Nessuno meglio di voi potrà contribuire alla fondazione della nuova Francia».
Lui ne è onorato ma è titubante. Ha sempre dichiarato di non essere portato per la politica: «Non sono nato né per la tribuna né per la pubblica piazza». Poi però, vista l’insistenza, accetta: «La missione che mi proponete — scrive — è impegnativa. Conosco troppo bene le difficoltà e i pericoli che comporta per confondermi con quella folla di candidati che nella rappresentanza nazionale non vede altro che una carriera onorevole e lucrativa. Ma proprio perché ci sono pericoli da correre e la pusillanimità da vincere, potrei risolvermi ad accettare il pericoloso onore al quale mi chiamate, se vi vedessi la volontà di Dio resa manifesta dalla volontà generale dei miei concittadini, perché io possa apparire non come il rappresentante di una sola idea, ma come il conciliatore di tutte le opinioni oneste. In una parola ci tengo a evitare tutto quello che potrebbe dare l’idea di una ambizione impotente o di una errata tracotanza».
E aggiunge: «Sicuramente non sottovaluto la gravità delle circostanze e le inevitabili disgrazie che ne scaturiranno. Ma ho la ferma fiducia che Dio non distrugge se non per ricostruire, e già riconosco i primi tratti di questo piano divino che sarà la riconciliazione del cristianesimo e della libertà: l’avvento del Vangelo nel mondo temporale per mezzo di una fraternità effettiva e sincera tra gli uomini». Informa poi il fratello maggiore Alphonse: «Dunque mi portano a Lione; spero che la Provvidenza mi risparmi la pericolosa gloria di essere un rappresentante del popolo. Però se mi destina a questo, spero che mi dia il coraggio di non tradire i suoi disegni». E aggiunge: «Raccomanda alle persone che conosci di non disperdere il loro voto per candidati, forse eccellenti, ma che non avrebbero possibilità serie di riuscita. Votando per loro, non si fa solo un’azione inutile, ma si serve la causa di candidati pericolosi ai quali si offre un’opportunità in più. È meglio, all’ultimo momento, allearsi a gente onesta anche se non se ne condividono le opinioni». Il 15 aprile, una settimana prima delle elezioni, pubblica il suo manifesto elettorale: «Agli elettori del Dipartimento del Rodano». Il suo programma politico è breve, sintetico ed efficace, contenuto in due scarne pagine: pochi concetti che iniziano con un’affermazione a dir poco sbalorditiva sugli avvenimenti rivoluzionari che hanno portato alla caduta della monarchia ed alle elezioni: «Non sono una pubblica disgrazia alla quale rassegnarsi: sono un progresso che è necessario sostenere. Vi riconosco l’avvento temporale del Vangelo, espresso in queste tre parole: libertà, uguaglianza, fraternità». E proprio i tre capisaldi rivoluzionari sono qui declinati in una visione cristiana e tradotti nella virtù della carità.
La libertà, alleata del cristianesimo, che garantisce i diritti naturali e la sovranità del popolo e della famiglia: «Voglio dunque la sovranità del popolo. Voglio innanzi tutto l’affermazione dei diritti naturali dell’uomo e della famiglia. Bisogna includere nella costituzione, al di sopra della variabilità delle maggioranze parlamentari, la libertà elle persone, la libertà di parola, d’insegnamento e di culto. Bisogna che il potere, lasciato all’instabilità dei partiti, non possa mai sospendere la libertà individuale, ingerirsi nelle questioni i coscienza o imbavagliare la stampa». L’uguaglianza, ad iniziare dal suffragio universale e dal rifiuto della forma federativa dello Stato, ma anche di ogni forma di centralizzazione, per non nuocere allo sviluppo delle campagne: «Voglio la costituzione repubblicana, senza ipotesi di ritorno a suggestioni monarchiche ormai impossibili. La voglio con l’uguaglianza di tutti, e quindi con il suffragio universale per l’assemblea nazionale».
Infine la fraternità, con tutte le sue conseguenze: «Difenderò il sacro principio di proprietà. Ma, senza intaccare questo fondamento d’ogni ordine civile, si può introdurre un sistema d’imposta progressivo, andando a diminuire le imposte di consumo: si potrebbero così sostituire i prelievi del dazio e rendere più accessibile il costo della vita. Sosterrò anche i diritti del lavoro: il libero lavoro del coltivatore, dell’artigiano, del commerciante, padrone della propria pera e del proprio reddito; le associazioni d’operai fra di loro, o di operai e imprenditori che riuniscano volontariamente la loro abilità ed i loro capitali; infine promuoverò lavori di pubblica utilità d’iniziativa statale, che possano offrire accoglienza ai volenterosi ai quali mancano lavoro o risorse. Solleciterò con ogni sforzo i provvedimenti di giustizia e previdenza in sollievo delle sofferenze del popolo. Tutte queste iniziative non sono certamente troppo per risolvere la spaventosa questione del lavoro, la questione più urgente del tempo presente e la più degna d’attenzione per le persone di cuore». Un programma veramente innovativo per un cattolico. E gli elettori cattolici non lo capiscono: Ozanam non viene eletto, pur ottenendo un buon numero di voti: 15.367, che lo pongono però solo al trentatreesimo posto nella sua lista. Con una lettera ringrazia tutta la città di Lione per il sostegno ottenuto e sottolinea: «Questo numero di suffragi mi obbliga a tenermi a vostra disposizione il giorno in cui mi riterranno capace di servirvi. E, a partire da oggi, mi impegno ad avviare una formazione politica che mi mancava». Di questa sua brevissima avventura ci resta la sua visione genuina e rigorosa dell’impegno pubblico, monito per tutti gli uomini delle istituzioni, per quelli di ieri come per quelli di oggi. Numerosi le suggestioni di Ozanam per chi si vuole cimentare nella politica. Innanzitutto le motivazioni: «Per non venir meno al mio onore, al patriottismo ed al mio impegno cristiano». Poi la serietà: «Desidero evitare tutto quello che potrebbe dare l’idea di una ambizione impotente o di una errata tracotanza». E ancora la necessità di avviare una formazione politica «che mi mancava»: la consapevolezza che non ci si può improvvisare in questo campo.