Premio Carlo Castelli: Radio Vaticana intervista Paola Da Ros

Si è da poco conclusa la cerimonia di premiazione della 17.ma edizione del Premio Carlo Castelli, il concorso letterario dedicato al grande volontario penitenziario vincenziano e promotore della legge Gozzini, dedicato agli scritti dei detenuti di tutta Italia, compresi gli istituti minorili. Come ogni anno la cerimonia, organizzata dalla Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Settore Carcere e Devianza, si è svolta in un carcere e precisamente nella casa circondariale di Verona Montorio. La presidente della Federazione nazionale Paola Da Ros racconta l'esperienza a Roberta Barbi, ai microfoni di Radio Vaticana:

La XVII Edizione del Premio Carlo Castelli è stata una delle più emozionanti e profonde che abbia mai vissuto. Per il secondo anno consecutivo, due dei tre vincitori hanno avuto l’opportunità di leggere i propri elaborati, e ascoltarli dar vita alle loro parole, con le pause, le sfumature e le emozioni della loro voce, ha conferito un valore inestimabile al Premio.

Un elemento distintivo del concorso è il “doppio premio”: oltre alle somme assegnate ai primi tre classificati, un secondo contributo economico, abbinato alle opere vincitrici, finanzia progetti per il reinserimento sociale dei detenuti. Il primo premio di questa edizione permetterà di avviare un programma di reinserimento lavorativo per i detenuti del carcere di Brescia che hanno terminato la pena; il secondo sosterrà i giovani dell’Istituto per Minori di Catania, mentre il terzo contribuirà alle attività dell’Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Pisa. Questi progetti rappresentano un ponte verso una nuova vita, un'opportunità di riscatto per chi cerca un futuro diverso.

Un sentito ringraziamento va anche alla Casa Circondariale e alla direttrice, dott.ssa Francesca Gioieni, che ha reso possibile qualcosa di unico: alcuni detenuti hanno potuto raccontare frammenti delle loro vite sul palco, e uno di loro, cantautore, si è esibito con una chitarra comparsa dalle ultime file.

Quest’anno sono pervenute 172 opere da tutta Italia, a cui si è aggiunta una multimediale. Questo numero testimonia l’importanza che gli Istituti Penitenziari del nostro Paese attribuiscono al Premio Carlo Castelli, ormai consolidato nel panorama delle iniziative proposte dalle associazioni che si occupano di carcere.

Il tema dell’edizione di quest’anno proposto ai detenuti è stato: “Perché? Ti scrivo perché ho scoperto che c’è ancora un domani”, la speranza, dunque, che non deve venir meno neppure nei momenti più bui. Quanto è importante comunicare questo contenuto nel carcere di oggi, afflitto dal dramma dei suicidi che purtroppo sono sempre in crescita?

R - Quando, alcuni mesi fa, ci siamo riuniti per scegliere il tema, eravamo profondamente colpiti dal tragico aumento dei suicidi, che non riguardavano solo i detenuti, ma anche il personale penitenziario. Da qui è nato un titolo carico di speranza. Il primo passo è offrire una prospettiva di futuro, sia a chi tornerà in libertà, sia a chi può ancora partecipare a percorsi formativi o lavorativi all’interno del carcere.

D - Fra i componimenti premiati, uno racconta un percorso esemplare di giustizia riparativa e di ricerca di un proprio nuovo ruolo nella società, una volta usciti dal carcere, dove si erano persi tutti i punti di riferimento. A che punto è il cammino della giustizia riparativa in Italia? Può essere considerata una nuova forma di speranza?

R - Durante la seconda giornata del Premio Carlo Castelli, abbiamo affrontato il tema della Giustizia Riparativa con alcuni esperti. Questo approccio rappresenta un autentico cambio di prospettiva. Sebbene ci sia ancora molto da fare, soprattutto in attesa dei decreti attuativi, è fondamentale prestare attenzione non solo ai benefici per i detenuti, ma anche alle emozioni delle vittime e dei loro familiari. L'obiettivo deve essere quello di sanare le ferite. Là dove applicabile, la Giustizia Riparativa può diventare una preziosa opportunità per ricostruire un tessuto sociale lacerato e restituire speranza.

D - Ogni anno con il Premio Castelli si mette via un po’ di esperienza in più. Cosa ha imparato, in questa edizione, di nuovo, sulla scrittura delle persone ristrette?

R - Ogni anno visitiamo un carcere diverso, in città anche molto lontane tra di loro. E ogni anno ci arricchiamo con esperienze differenti. In questa edizione abbiamo imparato anche noi che la speranza può e deve esistere anche dentro al carcere, perfino tra i condannati alle pene più lunghe. Perché anche durante la permanenza in carcere si può acquistare una “libertà interiore” cambiando prospettiva: bisogna rinunciare a “sentirsi vittima” e provare a ricostruire il proprio futuro. Per questo è importante partecipare alle attività promosse all’interno delle strutture da tanti educatori e volontari. Tra le tante testimonianze di questa edizione abbiamo presentato quella di un ristretto condannato all’ergastolo, che ora può usufruire di permessi per andare nelle scuole e sensibilizzare alla legalità gli studenti. Lui ha trovato la sua libertà rendendosi utile.

D - Oltre all’edizione annuale del Premio Castelli, la novità per la Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV è la sottoscrizione di questo nuovo protocollo d’intesa con il Dipartimento della giustizia minorile e di comunità che riguarda la messa alla prova attraverso il lavoro: ci spiega in che cosa consiste?

R - Grazie a questo importante Protocollo d’intesa permetteremo a imputati e indagati per reati ammessi alla messa alla prova di svolgere lavori di pubblica utilità nella nostra Associazione. Un nuovo passo avanti nella promozione di pene alternative al carcere: la messa alla prova consente, a chi ha commesso reati di lieve entità, una vera opportunità di riscatto, mettendosi al servizio dei più vulnerabili e diventando una risorsa per l’intera comunità. Permette al reo di sviluppare competenze relazionali, senso civico e solidarietà, trasmettendo valori importanti. In questo modo si recupera l’umanità soffocata dal reato e si restituisce alla pena il suo vero significato: non una semplice punizione, ma uno strumento di rieducazione.

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