In un seminario sulla giustizia riparativa e la mediazione penale in ambito minorile i temi dell’incontro e della riconciliazione
(CM)
Porre fine al male è sempre possibile
«Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono». Così Giovanni Paolo II apriva il suo messaggio per la XXXV Giornata mondiale della pace il 1° gennaio 2002. La pace è quella tra i popoli, non diversa in spirito da quella tra le singole persone, perché la Chiesa testimonia che «il male non ha l’ultima parola nelle vicende umane».
In presenza di una grave offesa, come il vedersi portar via una persona cara, il dolore invade tutto l’essere e impedisce di pensare ad altro che a quella persona amata che non c’è più; è come lo schianto di una frattura aperta nell’anima, impossibile da comprendere e da ricomporre. «Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature», diceva Papa Francesco nel 2015 aprendo il Giubileo straordinario della misericordia, ricordando che «dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia».
Ma allora quale giustizia possiamo attenderci in vita, quando si è colpiti dal male, quando tutto sembra precipitare inghiottito dal vortice del non-senso? I risentimenti, l’odio, il grido di giustizia non portano che altro dolore, allontanano da quella pace interiore che solo può lenire ferite incise nell’esistenza. Nelle aule dei tribunali si consumano altri drammi che ruotano attorno a verità mai del tutto rappresentate, sempre parziali, sempre lontane dal cuore delle persone. Anche quando, dopo lungo tempo e travaglio, “giustizia è fatta” inizia un’altra via dolorosa che non restituisce nulla a nessuno, ma che anzi amplifica la sensazione di vuoto, di sconfitta, di abbandono. Non c’è gioia nel vedere la persona responsabile del delitto condannata, anche se la pena è quella più pesante e definitiva. Il carcere è un luogo-non luogo, come vita-non vita è anche quella di chi non trova pace dalla perdita di un congiunto.
Una strada possibile è quella indicata dalla misericordia passando per il perdono. È una strada impervia e richiede cuore e determinazione. Nelle prassi giuridiche va sotto il nome di giustizia riparativa e si avvale della mediazione penale. Un tipo di giustizia che ancora stenta ad affermarsi, ma è destinata a divenire il nuovo paradigma della pena, intesa non più come sterile contrappeso di sofferenza rispetto al delitto, ma come possibilità di incontro e di restituzione di senso, perché sia rimessa in moto la speranza di proseguire una vita liberata dai vincoli del male.
L’autore di reato deve prenderne coscienza e deve porsi dalla parte della persona offesa, capire il danno e il dolore inferto alla vittima e ai suoi familiari al fine d’intraprendere un cammino di conversione al bene. Chi è stato offeso può avvicinarsi al suo persecutore, guardarlo in faccia, ascoltarlo e comprendere che cosa c’è stato all’origine di tanta violenza.
Di questi temi si è discusso il 30 aprile scorso durante il seminario organizzato dal Settore Carcere e Devianza della Società di San Vincenzo De Paoli, a margine del precedente corso di formazione per volontari. Al seguente link è possibile rivedere la registrazione filmata dell’intero evento:
Sono intervenuti relatori d’eccezione, come Gemma Tuccillo, Capo dipartimento giustizia minorile e di comunità; Isabella Mastropasqua, Responsabile giustizia riparativa Ministero della giustizia; Gianluca Guida, Direttore dell’Istituto per minori di Nisida; Don Ettore Cannavera, fondatore della Comunità La Collina. Particolarmente toccanti le testimonianze di Claudia Francardi e Irene Sisi, introdotte da Ornella Favero, Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Presenti all’incontro anche l’ex magistrato Gherardo Colombo, Melita Cavallo, ex giudice dei minori, Giovanni Maria Pavarin, Presidente del Tribunale di sorveglianza di Trieste, Anna Maria Corradini, volontaria esperta di percorsi formativi in carcere.