Illustrazione: "Apoteosi di Dante Alighieri a Firenze: l'Amor che move il sole e l'altre stelle", grattage su graphia dell'artista Giovanni Guida, 2020.
Firenze: apoteosi di una passione negata
A Firenze comincia la storia del poeta, in quella Firenze comunale che da qualche anno ha posto fine al governo della nobiltà, lasciando spazio alle attività commerciali, imprenditoriali, artigiane. A Firenze il problema è la lotta interna tra ghibellini e guelfi che, dopo l’allontanamento definitivo dei primi, diventa conflitto tra le due fazioni dei neri e dei bianchi. Una città complessa, questa Firenze che dà i natali all’Alighieri, che vede il suo primo incontro con Beatrice, ad appena 9 anni, che assiste alla sua formazione teologica e filosofica, che gli offre i contatti con le “avanguardie” dei poeti stilnovisti.
Firenze è, dunque, la radice, il cuore, la passione del poeta, quella passione che lo spinge al “distacco consapevole” dalla formazione precedente. A Firenze egli si sposa ed ha 4 figli ed a Firenze muore Beatrice. Qui comincia la produzione poetica e qui continua, con la Vita Nova, ma qui inizia anche la fine di tutto, quella carriera politica che lo porterà a diventare uno dei Priori e che gli costerà un processo per corruzione, con una condanna in contumacia.
Da questo momento Firenze si allontana, e non solo nello spazio, diventa il luogo della delusione, della incomprensione, della minaccia. Lontano da Firenze il genio del poeta produce opere straordinarie, il Convivio, il De Vulgari Eloquentia, il De Monarchia, mentre continua a comporre le terzine della sua Comoedía. Oramai Firenze è “l’altrove impossibile”, Firenze lo richiama ma lui rifiuta in nome del suo “onore” e della sua “dignità”, a prezzo dei quali non potrà tornare mai: “a Firenze non entrerò mai”, egli dice, con l’amarezza del figlio rifiutato e la consapevolezza sprezzante di chi sa che al suo genio “né certo mancherà il pane”.
Un rapporto tormentato, dunque, con una città in preda ad una corruzione dilaniante, stravolta da un conflitto civile insanabile, incapace di riconoscere le genialità che pur ha generato.
Uno sguardo a Firenze dall’azzurro di quei nove cieli, in questa opera di Giovanni Guida, un abbraccio luminoso al suo splendore, ma un occhio ormai lontano, quello del poeta. Il canto disperato di un figlio capace di spingere la bellezza di quei luoghi verso l’infinito e, nello stesso tempo, di trascinarla nell’abisso più profondo, con i versi lucidi e impietosi di chi, proprio per colpa di quella sua città, ha dovuto assaggiare l’amaro gusto dello “scendere e salir per l’altrui scale”